SOMALIA: CHI SFRUTTA L’INSTABILITÀ POLITICA?
I movimenti islamici stentano a condividere una strategia, ma gli interessi internazionali privilegiano il caos
di Glauco D’Agostino
Ad aprile un membro anziano di Hizbul Shabaab, il movimento riconosciuto ufficialmente l’anno scorso da al-Qā‘ida come sua cellula in Somalia, ha chiesto l’insediamento di una nuova leadership per il gruppo. A maggio Sheykh Ḥasan Dahir Aweys, altro suo membro dissidente di alto rango e già leader della fazione wahhābita dell’Unione delle Corti Islamiche, ha dichiarato che il Capo del partito Aḥmed Abdi “Godane” ha respinto la proposta di istituire una nuova leadership; poi ha accusato lo stesso Godane di “colpire, arrestare, uccidere e dare la caccia ai combattenti stranieri” che hanno servito al fianco di ash-Shabaab dal 2007. Lo scorso 12 settembre ‘Omar Shafīq Hammami, un Comandante jihādista dell’Alabama di 29 anni che aveva preso il nome di Abū Manṣūr al-Amriki, è stato colpito a morte in un villaggio somalo del sud in un attacco ordinato da alti dirigenti di Hizbul Shabaab, dopo che da mesi accusava la leadership della milizia di cercare di assassinarlo per divergenze circa l’applicazione della legge islamica nelle zone sotto il suo controllo.
Che sta succedendo nel Partito della Gioventu? Hizbul Shabaab è il solo movimento islamista che si propone per il potere? E la Somalia è veramente un covo di terroristi? Queste domande apparentemente semplici ne sollecitano altre di maggiore portata in quanto a riflessioni in sede storica e politica: Perché il conflitto in Somalia dura da tanto tempo? Perché falliscono i tentativi di riconciliazione che possono condurre verso una pace possibile?
Hizbul Shabaab (Partito della Gioventù)
Conosciuto anche come Movimento di Resistenza Popolare nella Terra delle Due Migrazioni, quando nasce nel 2004 costituisce una forza speciale dell’Unione delle Corti Islamiche, a sua volta formata quattro anni prima come coordinamento delle esistenti Corti shariatiche. Il movimento giovanile si sviluppa dal 2006, dopo la sconfitta militare subita dal Consiglio Supremo delle Corti Islamiche; e nel 2009, quando le truppe etiopiche lasciano la Somalia, controlla l’intero territorio della Somalia meridionale. Lo stesso anno nega il riconoscimento al Presidente eletto, il Ṣūfī della Confraternita Idrīsiyya Sheykh Sharīf Aḥmed.
Hizbul Shabaab si ispira ad un puro monoteismo, secondo gli insegnamenti della Sunna e le regole applicative della Sharī’a. Sul piano politico, lotta per l’affermazione di un Emirato Islamico esteso su tutto il Corno d’Africa. Nell’operatività, si articola in gruppi territoriali, che talvolta divergono reciprocamente nelle tattiche adottate. Questi gruppi agiscono rispettivamente:
– nelle regioni sud-occidentali di Bakool e Bay;
– nelle regioni centro-meridionali, comprendente Mogadiscio;
– nei territori settentrionali di Somaliland e Puntland, ormai praticamente indipendenti;
– nella regione meridionale autonoma dell’Oltregiuba, la cui competenza territoriale è affidata ad una “unità irregolare” al comando di Sheykh Ḥasan ‘Abdullāh Hirsii at-Turki, il quale gode di ampia autonomia all’interno del movimento.
Per comprendere il dissidio scoppiato all’interno di Hizbul Shabaab, è comunque necessario fare riferimento ad altri soggetti politici che compongono la galassia dell’Islamismo somalo.
Hizbul Islam (Partito Islamico)
Formatosi nel 2009 in contrapposizione al governo del Presidente Sheykh Aḥmed, nasce come fusione di quattro gruppi islamisti:
- l’Alleanza per la Ri-liberazione della Somalia (ARS-Asmara), fondata a settembre del 2007 e guidata dal futuro Presidente Sheykh Aḥmed e da Sheykh Ḥasan Dahir Aweys, aveva lo scopo di creare uno Stato Islamico in Somalia, ma abbracciando anche obiettivi nazionalistici per il perseguimento di un’integrazione tra i territori del Corno d’Africa con popolazione somala, compresi l’Ogaden etiopico, Djibouti e il Distretto frontaliero settentrionale del Kenia. Dopo gli Accordi di Pace di Djibouti di giugno 2008, l’Alleanza si rompe in due tronconi, con Sheykh Aḥmed a capo del gruppo favorevole alla cessazione del conflitto contro il Governo Federale di Transizione e l’Etiopia sua alleata (ARS- Djibouti) e Sheykh Aweys a capo dei sostenitori della resistenza armata (continuazione di ARS-Asmara);
- Jabhatul Islamiya (JABISO) (Fronte Islamico), di Moḥamed Ibrāhīm Hayle;
- le Brigate Ras Kamboni di Sheykh Ḥasan ‘Abdullāh Hirsii at-Turki, già citato in precedenza. Confluite in Hizbul Shabaab a febbraio del 2010, hanno provocato la defezione del Comandante Sheykh Aḥmed Moḥamed Islām “Madobe”, attuale Presidente dell’Oltegiuba, con il suo nuovo movimento Raskamboni;
- la Mu’askar Anole, milizia del clan Harti (uomo forte in Somalo), protagonista di scontri con le Brigate Ras Kamboni di Sheykh Hirsii at-Turki.
Hizbul Islam, dopo essere confluito in Hizbul Shabaab a dicembre del 2010, se ne separa nuovamente a settembre 2012, facendo seguito alle critiche che Sheykh Aweys aveva sollevato ai leaders del movimento qaedista. Così si spiega il duro scontro in atto tra i due movimenti islamisti. Poi, a fine giugno di quest’anno, Aweys, invitato a Mogadiscio per colloqui con funzionari governativi, è arrestato dalle forze di sicurezza.
Secondo Abdirahmān Moḥamud, un analista politico che monitora i gruppi islamisti, a differenza di Hizbul Islam, gli Shabaab hanno adottato dall’inizio una tattica operante “senza confini geografici e che vede il mondo intero come uno spazio aperto per mettere in scena le loro operazioni militari”. Un altro analista, ‘Alī ‘Omar Moḥamed, conferma che la sopravvenuta fedeltà ad al-Qā‘ida è stata tra i fattori “che hanno causato crescente e profonde divisioni all’interno delle fazioni islamiste radicali, assieme alla pressione militare, alla riduzione delle risorse e delle forniture, a un aumento delle vittime civili e alle politiche tribali”. Queste valutazioni sono convalidate dalle stesse dichiarazioni del portavoce di Hizbul Islam, che ha ammesso lo scontro ideologico: “Hizbul Islam non è più alleato degli Shabaab, in quanto vi sono differenze politiche e ideologiche con il gruppo”.
Hizbul Shabaab e Hizbul Islam non esauriscono la lista dei movimenti islamisti somali, sono solo i più visibili a causa della loro opzione per la lotta armata. Ma storicamente esistono e sono esistiti tra di loro soggetti politici che hanno compiuto scelte diverse. Tra questi sono da citare per lo meno:
- Harakat al-Islah (Movimento di Riforma), organizzazione affiliata alla Fratellanza Musulmana nata nel 1978 ad opera di Sheykh Moḥamed Aḥmed Nur “Garyare”, il cui obiettivo è la creazione di uno Stato Islamico, ma con la marcatura di riforma e rinascita dell’Islam per affrontare le sfide del mondo moderno. Nonostante la difficoltà della situazione politica e istituzionale in Somalia, il movimento conferma a tutt’oggi le basi democratiche della sua struttura anche sul piano interno, eleggendo il proprio Presidente all’interno di un Consiglio Consultivo, la Shura;
- Damul Jadid (Sangue Giovane), che è fuoriuscito da Islah nel 2004 e che oggi esprime il Presidente della Somalia Ḥasan Sheykh Moḥamud, eletto l’anno scorso, e da marzo di quest’anno accoglie lo stesso “Garyare”;
- Harakat Jalalaqsi, movimento nato ad agosto del 2008 a Jalalaqsi, appunto, nella Somalia Centrale, e che si oppone tanto agli Accordi di Pace di Djibouti quanto alla violenza degli Shabaab.
La tradizione islamista, tuttavia, è stata sempre presente in Somalia, attraverso la formazione di gruppi più o meno longevi, che hanno segnato la storia delle opposizioni culturali e politiche, prima al colonialismo italiano, poi alla dittatura socialista di Moḥamed Siad Barre, infine all’invadenza bellica e politica etiope e dei Paesi occidentali:
- La Lega Islamica Somala, fondata nel 1952 a Mogadiscio durante il Protettorato italiano e ritenuta la prima vera organizzazione islamica del Paese. I suoi scopi spaziavano dalla propagazione dei valori islamici all’uso della lingua e della scrittura araba nell’educazione, dalla supremazia della Sharī’a nella legislazione alla promozione di scambi culturali con l’Egitto;
- an‐Nahḍa (Rinascita), nata a Mogadiscio nel 1967 a servizio dei giovani di ritorno dalle università arabe, che riproponeva per grandi linee gli stessi scopi della precedente;
- una pletora di organizzazioni rese illegali dal regime militare di Siad Barre, come Jamiyat humat ad-Diin e la wahhābita Wahadat ash-Shabab al-Islāmi (Unione dei Giovani Musulmani), attive nel Somaliland, Jamiyat Ihya as-Sunna e il movimento studentesco al-Ahli, operanti a Mogadiscio, il gruppo neo-kharijita Takfir wal-Hijrā (Scomunica ed Esodo), tutte con lo scopo di reagire all’introduzione dell’ideologia socialista da parte del regime;
- Ittihād al-Islāmiyya (Unione Islamica), emersa dopo il collasso dello Stato nel 1991 e lo scoppio della guerra civile, con lo scopo di creare uno Stato Islamico nel Corno d’Africa;
- Ittihād al-Mahākim al-Islāmiyya (Unione delle Corti Islamiche), nata nel 2000 come erede della precedente (quest’ultima costretta a dissolversi subito dopo gli eventi dell’11 settembre). L’Unione era finalizzata all’instaurazione di una critocrazia, cioè di un governo dei giudici: avrebbe conquistato il potere il 6 giugno 2006, dopo avere espulso da Mogadiscio i Signori della Guerra appoggiati dagli Stati Uniti di George W. Bush (Seconda Battaglia di Mogadiscio). Avrebbe governato per poco più di sei mesi, cadendo a causa dell’invasione etiope della Somalia.
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Dunque, la storia dell’Islam politico in Somalia è particolarmente ricca di eventi e comportamenti diversi, che possono essere interpretati secondo piani di lettura endogeni ed esogeni.
Sotto il primo aspetto, giocano le caratteristiche dei soggetti politici coinvolti, a seconda delle loro sensibilità rispetto a temi come:
– costruzione di uno Stato centralista, così come emerso dopo l’acquisizione dell’indipendenza dall’Italia nel 1960;
– coesistenza di riferimenti culturali spesso antitetici, come identità tribale, nazionalismo e islamismo;
– conflitto interno alla società islamica, con scontri ideali tra le sue componenti, come Sufismo, Fratellanza Musulmana, Wahhābismo, Kharijismo, Jihādismo e Qaedismo;
– instabilità politica, divenuta ormai endemica e permanente e causa della disintegrazione statale.
Dal secondo punto di vista, incide il contesto geo-politico della Somalia, con influenze derivanti da:
– le storiche presenze coloniali italiana, britannica (in Somaliland) e francese (a Djibouti), che ancora oggi perpetuano l’interesse verso il ruolo del Corno d’Africa;
– il coinvolgimento dell’area nella contrapposizione USA-URSS nel periodo della Guerra Fredda e poi nel controllo strategico della navigazione verso il Mar Rosso;
– il peso raggiunto nell’economia dalle compagnie multinazionali americane ed europee attive in vari settori, come Coca Cola e Dole Food (alimentari), General Motors (veicoli), Sprint, ITT e Telenor (telecomunicazioni) e numerose compagnie petrolifere;
– l’utilizzazione del Paese come discarica di rifiuti tossici, comprese scorie nucleari;
– la recente presenza di terrorismo e pirateria internazionale.
Tutto questo spiega forse l’incapacità (o la non volontà?) da parte della comunità internazionale nel mettere in piedi un meccanismo diplomatico d’intervento capace di porre fine a 20 anni di guerra civile. Di certo potrebbe risultare scomodo per alcuni governi stabilizzare la situazione politica, se questo conducesse al chiarimento dei loro rapporti più o meno diretti con i regimi (più o meno legali) che si sono succeduti tra il 1991 e il 2005 e all’approfondimento della cause che hanno prodotto la pirateria marittima.
La Somalia ha avuto l’opportunità di uscire dall’instabilità quando il Consiglio Supremo delle Corti Islamiche legittimamente aveva unificato il Paese all’insegna di una sicurezza ristabilita e di una giustizia regolamentata. L’avallo internazionale del principio d’intervento militare laddove non è gradito un sistema politico ha voluto rigettare nel caos il Paese. Quanto c’entra in termini di responsabilità l’estremismo e quanto il puro calcolo politico ed economico delle lobbies internazionali?
Quel che è certo è che la stabilità della Somalia passa attraverso un governo espressamente islamico, che sia in grado di superare il settarismo delle sue formazioni, ma allo stesso tempo promotore di pace e aperto alla modernizzazione del Paese, non certo all’intrusione istituzionale e culturale da parte dei soliti “liberatori della Patria”.
I Somali ne hanno il diritto!